Il neo-nato-Gallotauro segna la prosecuzione di un percorso assai fertile di idee , di intuizioni e di promesse, Bertozzi non rinuncia ai “suoi” tori, ma ne allarga il significato arrichendoli di un zoormofismo assolutamente inedito e aperto a varie simbologie. Il titolo “GALLOTAURO” è la commistione tra gallo e toro : l’unione di potenza ed eleganza, di rostri e di corna ,di artigli e di zoccoli. Tale unione sembrerebbe artificiosa se, a ben guardare non si notassero straordinarie affinità tra i due animali: la vitalità, ad esempi, oppure la fecondità o simbologie meno appariscenti, ma egualmente valide per entrambi, come il passaggio a nuova vita (dalle tenebre alla luce e di conseguenza, alla fertilità), la nascita del giorno e del mondo, il rapporto vita-morte (entrambi risvegliano immagini di battaglie), l’affidarsi agli impulsi più semplici ed immediati ecc. L’elenco di queste similitudini potrebbe essere molto lungo, tuttavia quello che interessa il nostro artista è mostrare la forza e la potenza che si sprigionano dalle due bestie (di razza senza dubbio romagnola, come vuole precisare l’autore ): ciò è in sintonia col modo di essere o di vedere la realtà dello scultore stesso. La forma espressiva è, dunque, ineccepibile, come d’altra parte non lasciano dubbi l’intenzione simbolica e la volontà di celare attraverso l’unione di gallo e toro alcuni momenti e aspetti dei comportamenti umani.
Rosanna Ricci
Il Surrealismo di Mario Bertozzi
Nella primavera del 1920 venivano pubblicati i Campi Magnetici, opera di André Breton e Philippe Soupault. Nasceva così sulle ceneri del Dadaismo, il movimento d’avanguardia divenuto il più celebre del Novecento: il Surrealismo. Militarono in questo grandi trasfiguratori della realtà come Salvador Dalì, Paul Delvaux, Marx Ernst, René Magritte e tanti altri, italiani compresi come Alberto Savinio; nessuno però produsse un’opera così surrealista come il Gallotauro di Mario Bertozzi: è il sogno che André Breton, il fondatore e maggior teorico del movimento purtroppo non può aver visto realizzato. Due ragioni s’impongono nello spiegare come mai il nostro scultore sia meno noto degli illustri personaggi or ora nominati: la prima, ovvia, è che lui è storicamente recente, operante, mentre gli altri fanno parte di un passato reificato; la seconda è che diversamente da loro, Mario Bertozzi non ha operato a Parigi (e senza la “benedizione” parigina difficilmente si monta la scena internazionale). Un’altra osservazione critica però si impone: se l’autore del Gallotauro avesse vissuto a Parigi invece che in Romagna non avrebbe mai creato questo capolavoro. Dichiariamo quindi questo Rodin del Visionario moderno pari a quei creatori che senza conoscere l’avanguardia francese produssero opere inalterabili nel tempo come la Chimera di Arezzo o altre sconvolgenti figure del nostro passato/presente.
Gabriel-Aldo Bertozzi